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Oggi sono intervenuto in audizione del Ministro dello Sviluppo Economico Giorgetti per porre alcune domande sull’acciaio e poi in particolare sulla vicenda di Taranto.
PREMESSA
In linea generale in virtù di una situazione di mercato in continua evoluzione l’Italia non ha idea di come affrontare in maniera organica e sostenibile la produzione di acciaio.
Il piano nazionale dell’acciaio più volte sbandierato in realtà non esiste;
Non si hanno prospettive su Piombino se non rimandare la palla al privato;
Si spera che la vertenza di Terni sia conclusa favorevolmente…;
Su Ilva invece al momento ci sono solo tante parole e tanti soldi pubblici ma progetti reali e sostenibili al momento non esistono, esistono solo gli evidenti effetti sulla salute e l’ambiente (ne parlerò meglio dopo).
L’atteggiamento del Governo italiano rispetto alle proposte da fare all’Europa è molto scarno e solamente d’attesa, nessuna idea sulle misure da proporre per il mercato europeo in merito ai regolamento europeo che “istituisce misure di salvaguardia nei confronti delle importazioni di determinati prodotti di acciaio”. L’unico punto su cui l’Italia sta “lavorando” è chiedere all’Europa di FARE PAGARE DI MENO le aziende inquinanti, con diminuzione dei costi sulle quote di CO2…sempre alla faccia della transizione ecologica.
TARANTO E ILVA
Ancora una volta le sorti di una città, secondo il Governo, devono sottostare al resto dei presunti interessi del Paese. Con il Decreto sulla laguna di Venezia sono stati finanziati con soldi pubblici ben 700 milioni all’Ilva, di cui una parte saranno destinati ad uno studio di fattibilità sul processo DRI (cosiddetto Preridotto) a servizio di tutte le aziende del Paese (decisione presa da Conte, Patuanelli e Gualtieri nel governo Conte II, vi ricordate quando ho chiesto le dimissioni di Crimi?).
Ho espresso le mie perplessità sulla sostenibilità economica del costo del gas, funzionale all’impianto di DRI e quindi mettendo in dubbio la capacità dell’impianto di DRI di essere economicamente sostenibile: in Europa non esistono impianti di DRI così grandi perché il costo del gas non permette di avere processi sostenibili dal punto di vista economico e per questo gli impianti di DRI sono in Asia dove sono presenti enormi giacimenti di gas e dove il costo della fonte fossile è notevolmente inferiore. Con l’ulteriore aumento del costo del gas che stiamo vedendo oggi, e che presumibilmente aumenterà ancora, la sostenibilità economica sarà estremamente difficile se non impossibile.
Poi vi è la fumosa proposta di utilizzare i soldi del PNRR (2 miliardi di euro) per “decarbonizzare” l’Ilva. Premesso che questa fumosa proposta potrà avere prospettive SE parte l’impianto di DRI (sempre se parte….), e quindi si prevede l’utilizzo dell’idrogeno per decarbonizzare Ilva, solo che anche qui c’è qualche problemino non da poco. Come ha confermato la Commissione UE, i soldi del PNRR non possono essere spesi per gas o idrogeno blu per cui all’Italia toccherà produrre idrogeno verde (ossia da fonti rinnovabili) per “decarbonizzare” l’Ilva, “Bene” direbbe qualcuno (non io), solo che ci sono molti problemi: In primis, al momento le tecnologie non permettono di produrre milioni di tonnellate di acciaio facendo uso dell’idrogeno (figuriamoci 8 milioni) ma forse un domani, forse tra 10 anni, forse le future tecnologie, forse lo permetteranno, forse…. Ma il problema principale è che per “decarbonizzare” 8 milioni di tonnellate di acciaio servirebbero circa 17 mila GW/h annui di produzione di energia da fonti rinnovabili per produrre acciaio verde che è una produzione imponente, pensate che nel 2020 tutta la Puglia ha consumato in totale poco meno di 16 mila GW/h di energia elettrica tra tutti i settori: industriale, agricolo, domestico e servizi;
Pensate che tutto l’eolico installato in questi anni in Italia permette una produzione di 18.608,2 GW/h!
Questi dati danno la misura di come sia estremamente difficile avere così tanto idrogeno verde per decarbonizzare l’Ilva.
Per il momento non esiste un piano industriale per cui per ora sono tutte parole.
Ma i problemi non sono finiti qui. Mentre i soldi pubblici (così come la diossina e il benz(a)pirene) corrono da una parte all’altra ci sono delle condizioni affinché l’entrata dello Stato in “Acciaierie del’Italia” si compia: la famigerata “area a caldo” deve essere dissequestrata… peccato che il primo grado di giudizio del processo Ambiente Svenduto fino ad ora ha portato anche la richiesta di confisca degli impianti. Vedremo se la Procura di Taranto, dopo il temporale dell’inchiesta su Capristo e Laghi, dissequestrerà gli impianti dell’area a caldo, che ricordo, sono posti sotto sequestro dal 2012 perchè creano eventi di malattia e morte.
Ho fatto altre domande su questioni fondamentali:
Come si sta comportando l’Italia in merito alla sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che ha chiaramente sentenziato che l’Italia non ha difeso dall’inquinamento i cittadini di Taranto?
Nessuna risposta!
Come si sta comportando l’Italia in merito alla decennale procedura d’infrazione europea sull’AIA dell’Ilva?
Nessuna risposta!
Come pensa lo Stato italiano di controllare Mittal che ha dimostrato menefreghismo nei confronti del territorio e dei lavoratori tanto che ha ripetutamente e sistematicamente disinvestito sulla manutenzione degli impianti e attuato politiche antisindacali nei confronti degli operai?
Il Ministro pensa che la maggioranza delle quote permetterà allo Stato italiano di controllare Mittal….
In conclusione la vicenda acciaio in Italia procede senza alcuna pianificazione in totale sudditanza della politica degli altri stati e del mercato. Le sorti della cosiddetta “decarbonizzazione dell’ilva di Taranto” sono legate a tante incognite e tanti momenti delicati e difficili da risolvere.
Il problema è che in caso di (nuovo) fallimento della strategia che si sta perseguendo, non esiste un piano B ma in realtà manca anche il piano A. Quello che non manca è l’inquinamento che questi processi produttivi stanno creando non solo a noi ma anche alle future generazioni!
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