E’ assurdo! Non ci sono parole per la violenza scatenata dalla polizia israeliana che ha attaccato il corteo funebre che trasportava il feretro della giornalista palestino-americana Shireen Abu Aklen, uccisa l’11 maggio durante un’operazione delle forze israeliane nel campo profughi di Jenin, in Cisgiordania. Non c’è rispetto neanche per i morti.
Centinaia di persone si erano raccolte fuori dall’ospedale di Gerusalemme Est per accompagnare la bara verso la Chiesa (Shireen Abu Aklen era cattolica) per la celebrazione del funerale, cantando e sventolando la bandiera palestinese, (di cui Israele vieta l’esposizione in pubblico). Manganellate, calci e granate stordenti non hanno alcuna giustificazione.
La reazione della politica nostrana è stata soft, sembra che ci sia una certo timore a dire che i militari fossero israeliani e che tali gesti devono essere condannati.
In questo periodo storico con la guerra in Ucraina che sta vivendo una escalation, le tensioni internazionali che crescono a causa dei Paesi scandinavi in procinto di entrare nella Nato, la stretta della Cina su Taiwan , le sanzioni internazionali incrociate e la preoccupante formazione di nuovi blocchi contrapposti tra mondo occidentale e mondo orientale, il riaccendersi delle violenze (che non sono mai finite) in Palestina ci deve fare riflettere su come ogni popolo abbia l’obbligo morale di chiedere a gran voce ai propri governanti che occorre favorire un clima di distensione, di dialogo di diplomazia e di pace, prima che tutto scappi di mano e sia troppo tardi per fermarsi.
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